sabato 22 novembre 2025

h20.45

Stivalaccio Teatro

Buffoni all’inferno

Regia: Marco Zoppello

Con: Matteo Cremon, Michele Mori, Stefano Rota

soggetto originale Marco Zoppello
scenografia Matteo Pozzobon e Roberto Maria Macchi
costumi Lauretta Salvagnin
disegno luci Matteo Pozzobon
maschere e carabattole Stefano Perocco di Meduna e Tullia Dalle Carbonare
musiche originali Ilaria Fantin
calzature Aldo Biasibetti
assistente alla regia Alvise Romanzini
foto e video Serena Pea
scenografia realizzata nella bottega di Stivalaccio Teatro da Roberto Maria Macchi e Matteo
Pozzobon con la consulenza artistica di Alberto Nonnato
realizzazione costumi Antonia Munaretti
produzione Stivalaccio Teatro
si ringraziano il Teatro Busnelli di Dueville e l’Accademia Olimpica di Vincenza

Profondità delle lande desolate dell’inferno. Un tranquillo ed eterno giorno di torture strazianti. D’un tratto si leva un latrare sguaiato, sono i diavoli di malebranche che corrono da una parte all’altra alla ricerca del loro Re, il terribile Satana. Sulle rive dello Stige sono giunte millemila anime, così, d’un tratto, portate all’altro mondo da una fulminante peste bubbonica, vaiolica, assassina e vigliacca.

L’Ade è di colpo intasato e Minosse, impietoso giudice delle anime, è costretto a fare i salti immortali per esaminare le colpe di tutti. Le operazioni vanno a rilento, gli spiriti protestano, insorgono, volano insulti e qualche brutta bestemmia. Belzebù, con profonda saggezza, offre uno sconto di pena alle anime di tre buffoni, Zuan Polo, Domenico Tagliacalze e Pietro Gonnella, per tornare a fare ciò che in vita gli riusciva meglio: intrattenere. Lo spettacolo ripesca dall’antica arte del buffone, l’intrattenitore per antonomasia, il più devoto cultore dello sghignazzo.

Da che mondo è mondo i comici sono spaventati quanto attratti dall’inferno. Non c’è niente da fare, l’Averno è la destinazione finale per chi è pronto a tutto per strappare una risata. L’inferno e tutti i suoi sulfurei carcerieri sono alla base dalla tradizione popolare e dei racconti dei cantastorie. Esso racchiude al suo interno l’alto e il basso, il tragico e il grottesco.

Abbiamo provato a indagare, tra il tardo Medioevo e il Rinascimento, qualche esempio di racconti infernali, libelli basso corporei dal sentore mefitico. I fabliaux francesi ne sono ricolmi, uno su tutti Il peto del villano, racconto faceto su un povero spirito demoniaco vittima dei miasmi di un contadino malsano. Sempre a proposito di morte la tradizione orale del nostro Paese racconta di alcuni momenti carnevaleschi dove si usava recitare il paradossale testamento del porco e, perché no, di numerosi altri animali da cortile, ascoltati in pubblica piazza prima di diventare portata principale del martedì grasso. Ma di storie, novelle, cantari e stornelli ce ne sono e ce ne sarebbero molti.

A narrare questi episodi sono tre attori, o meglio buffoni, comici, reietti, gente disposta a tutto per portare il riso. Lo faranno servendosi dell’arte buffonesca, quella maestria quattrocentesca che partorì poi la grande tradizione dei comici dell’arte. Strambe figure, novelline, travestimenti grotteschi, cantari bislacchi, maschere demoniache e improvvisazioni oscene sono alla base di Buffoni all’inferno, un decamerone buffo e tragico.